ROMA (MF-NW)--L'utile operativo adjusted è più magro, pari a 3 miliardi di euro (-48%), per via del calo dei prezzi dell'energia, ma comunque più alto del consensus; il buyback accelera; le guidance sull'ebit riviste al rialzo da 12 a 14 miliardi di euro e quelle sul flusso di cassa da 15,5 a 16,5 miliardi, con un impatto stimato su quest'ultimo di circa 130 milioni per ogni variazione di un dollaro del prezzo del Brent su base annua. E poi l'ipo di Plenitude, la corsa al gas, compreso quello naturale liquefatto, l'inevitabile analisi del contesto geopolitico e la lettura del consolidamento in atto tra big oil («perché il petrolio ha ancora un futuro»). È un'intervista a tutto campo questa di Milano Finanza all'amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi sull'onda dei conti del terzo trimestre 2023, chiusi dal Cane a sei zampe con un utile netto dimezzato a 1,8 miliardi di euro ma mettendo sul tavolo l'atout delle stime migliorate.

Domanda. Cominciamo dai numeri: venerdì dopo la trimestrale il titolo si è mosso poco e gli analisti hanno reagito con raccomandazioni buy. Risposta. "I risultati operativi e finanziari sono eccellenti. Soprattutto, il miglioramento evidente dei fondamentali del business e i progressi nella strategia faranno da base per una remunerazione potenzialmente sempre più attrattiva per gli azionisti, secondo la nostra politica comunicata al mercato. E andremo più veloci col buyback.

D. Novità su Plenitude? Ha parlato di negoziati avanzati con un possibile socio strategico.

R. "È stato effettuato un beauty contest e adesso abbiamo in corso con una sola controparte le trattative in esclusiva, che sono a un buon livello di maturazione. Tra i punti in discussione c'è anche l'entità della quota da cedere. Ho detto più volte che l'ingresso di un investitore strategico non preclude l'ipo ma, al contrario, è propedeutico alla quotazione perché dà visibilità al valore di Plenitude e dimostra al mercato che c'è chi ha già investito per assicurarsi una partecipazione nel capitale. Possiamo considerare il socio strategico come un compagno di viaggio verso la borsa. Quindi lo confermo: Plenitude sarà quotata. La società sta centrando, e addirittura superando, tutti i target, tanto che abbiamo rivisto al rialzo, da 700 a 900 milioni, le stime sull'ebitda per fine anno. Rispetto al terzo trimestre 2022 la capacità installata di rinnovabili è cresciuta di oltre il 40% e raggiungerà i 3 Giga quest'anno. La produzione, sempre da fonte rinnovabile, ha avuto un incremento del 51%".

D. Come spiega il consolidamento in atto nel mercato delle big oil? Dopo Exxon-Pioneer e Chevron-Hess, si parla di una possibile fusione Shell-Bp.

R. "Queste operazioni da decine e decine di miliardi di dollari sono la dimostrazione che è sempre la domanda a guidare il mercato. E ci dicono anche un'altra cosa: le fonti tradizionali hanno ancora un futuro.

E attenzione: questo è un bene e non va a ostacolare la transizione energetica. Anzi, la rende più ordinata e gestibile perché un abbandono repentino delle fonti fossili provocherebbe scossoni sui prezzi.

Quindi non bisogna pensare che se una major mette miliardi nell'acquisizione di asset petroliferi stia abbandonando la strada della sostenibilità. Basta guardare Eni: ci stiamo portando vicinissimi al traguardo del 60% di gas nel mix produttivo previsto per il 2030 ma continuiamo a crescere nelle rinnovabili".

D. Quanto la preoccupa l'attuale situazione geopolitica?

R. "Va da sé che la situazione non è semplice, tanto più che cade in un momento in cui la sicurezza energetica è ancora altalenante perché siamo passati dall'avere un fornitore di riferimento come la Russia a un sistema di approvvigionamenti totalmente ripensato, e questi sono processi che richiedono tempo. ll tutto in un contesto di inflazione e tassi di interesse in salita. Tutto concorre all'instabilità; dalla guerra in Ucraina allo scontro Hamas-Israele. Dobbiamo mantenere la barra dritta e riuscire a portare l'energia necessaria in Europa e soprattutto in Italia. Eni lo sta facendo, con sempre maggiore evidenza".

D. Si riferisce ai tre accordi in Congo, Indonesia e Qatar?

R. "Anche. Malgrado la competizione aumentata dopo lo stop al gas russo, abbiamo chiuso contratti per forniture importanti e di lungo termine. Quello in Qatar ha una durata di 27 anni. Mi soffermo sull'Indonesia, però, perché gli accordi sul gnl sono arrivati poche settimane dopo l'annuncio di scoperte definite «world class» da Wood Mackenzie. Il pozzo Geng North-1 ha stime preliminari di 5 mila miliardi di piedi cubi di gas (circa 140 miliardi di metri cubi, ndr) e condensati fino a 400 milioni di barili, che si aggiungono ad altri 5 mila miliardi di piedi cubi di asset che abbiamo nell'area".

D. Sempre secondo Wood Mackenzie, potreste cedere quote dei giacimenti indonesiani.

R. "È un'opzione: in Indonesia ci sono le condizioni per la cessione di una partecipazione di minoranza di Geng North, secondo il nostro dual exploration model che ci consente di monetizzare l'investimento, anticipando una parte del cash flow che deriverà dall'entrata in produzione dei giacimenti, e allo stesso tempo di ridurre l'esborso di capitale sugli investimenti futuri. Con il closing dell'acquisizione di Neptune, Eni North Ganal salirà dal 50,22 all'88% di Geng North dandoci margine per valutare la cessione di una quota".

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