Il 6 gennaio è una data che gli azionisti Enel hanno ben incisa
nella mente. Quel giorno, il gruppo ha infranto il tetto dei 90
miliardi di euro di capitalizzazione: due volte Eni, più del doppio
della nascente Stellantis. Oggi, con un market cap sceso sotto gli
80 miliardi di euro, Enel resta comunque ben salda al primo posto
del FtseMib, distaccando di parecchie lunghezze gli altri big del
listino di piazza Affari.
Per l'amministratore delegato Francesco Starace, il vero valore
del titolo non si è ancora espresso a pieno. Il mercato, sostiene,
comprenderà presto il potenziale ulteriore del gruppo. Come, e
attraverso quali indicatori finanziari e strategici, lo spiega in
questa intervista a tutto campo con MF-Milano Finanza, nella quale
il top manager affronta anche la questione più calda di questi
giorni: l'impennata record dei prezzi dell'energia.
D. Che messaggio vuole dare in questo momento agli investitori?
Perché devono avere fiducia in Enel?
R. Oggi siamo al di sotto del record assoluto di gennaio scorso,
e questo si spiega facilmente. Il nostro peso nella borsa italiana
è tale che se c'è un flusso importante di vendite nell'indice,
significa che in gran parte si vende proprio il titolo Enel. Non
siamo assolutamente preoccupati di essere scesi sotto gli 80
miliardi di euro di market cap: dopo una forte crescita, un attimo
di pausa è fisiologico. Ma al di là di tutto, la nostra è sempre
stata una crescita graduale, non ci sono salti quantici e
mediamente gli investitori rimangono con noi nel tempo. Ci sono
azionisti che conservano il titolo dall'ipo del 1999, per loro il
ritorno totale dell'azione è stato ad oggi di quasi il 280% (si
veda tabella in pagina, ndr). Anche pensando a questo abbiamo
definito una politica di dividendi fissi crescenti nei prossimi tre
anni, che è stata un punto di svolta importante: ha dato un punto
di riferimento e sicurezza ai nostri investitori.
Domanda. A cosa attribuisce il fatto che la capitalizzazione di
Enel sia praticamente triplicata in questi ultimi anni?
Risposta. Il mercato ha premiato la scelta di puntare in
anticipo sulle rinnovabili e sulla digitalizzazione delle reti, e
anche il grande lavoro di semplificazione e riordino del gruppo. Ma
io in realtà penso che il market cap di Enel sia sottostimato. C'è
ancora del valore che non è emerso, un potenziale che forse si fa
fatica a cogliere da parte degli analisti davanti a un gruppo
complesso, presente ormai in oltre 30 Paesi, con una posizione
integrata nella catena del valore e forte spinta sulle nuove
tecnologie. Diamo tempo e modo al sistema di comprenderlo fino in
fondo, guardando avanti. L 'appuntamento di novembre con
l'aggiornamento del piano industriale, perciò, sarà tanto più
importante perché gli analisti e gli shareholder guardano anche
all'outlook che noi forniamo per prendere le proprie decisioni.
D. Quali saranno i punti cardine del nuovo piano?
R. Ovviamente non posso dare un'anteprima delle linee
strategiche 2022-2024 prima di presentarle ai mercati. Posso però
anticipare che continueremo a dare l'outlook al 2030, come abbiamo
iniziato a fare l'anno scorso. Ci saranno naturalmente delle
correzioni di rotta, com'è normale che sia, e aggiungeremo qualche
novità dal punto di vista delle tecnologie. Di certo sarà un piano
all'altezza delle ambizioni dell'Enel.
D. Dall' uscita da Open Fiber avete incamerato risorse
importanti. Cosa ne farete? Quali sono i possibili investimenti e
quanto, in concreto, avete a disposizione?
R. Anche questo lo vedremo a novembre. I proventi della cessione
di Open Fiber vanno ad aumentare la nostra capacità d'investimento,
ma non hanno una destinazione precisa verso questo o quel progetto.
Contribuiscono ad accrescere la redditività dell'azienda nel tempo
e, quindi, anche la sua capacità di accelerare il percorso di
decarbonizzazione.
D. Enel è un grande player internazionale, ci sono dei mercati
particolarmente dinamici in cui vorreste rafforzarvi in questo
momento, o mercati che invece presentano difficoltà?
R. In questo momento c'è un po' di tutto: mercati estremamente
dinamici, come gli Stati Uniti, e quelli in difficoltà, come
l'America Latina, che in realtà appartiene a entrambe le categorie.
Dinamica in termini di crescita della domanda di energia, e allo
stesso tempo difficile, per via della non eccellente gestione della
pandemia. Ci sono poi mercati completamente nuovi, l'India per
esempio, un Paese che ha un futuro strepitoso e che richiede
investimenti adeguati. Ora che si può accedere con capitali
stranieri, valuteremo sicuramente nuove opportunità.
D. Con Ambrosetti The European House avete presentato una
ricerca sulla Governance europea della transizione energetica,
stimando che per gli obiettivi del Fit for 55, in particolare la
riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030,
serviranno investimenti per oltre 3.600 miliardi di euro, 186
miliardi dei quali in Italia. Ci aiuta a capire perché la
governance è così importante per la transizione energetica?
R. Prima di tutto, diciamo che a fronte di questi 3.600 miliardi
di investimenti si stima un tornaconto economico molto importante,
ben 8mila miliardi. Quindi sì, c'è una crisi climatica ma c'è anche
una grandissima convenienza economica per l'intero continente
europeo ad attuare la transizione energetica. Ci siamo interrogati
su questo, c'è una disponibilità di capitali già abbastanza
evidente e c'è un obiettivo molto ambizioso, cosa ci vuole perché
questi due aspetti si incontrino? La risposta è stata che ci vuole
una governance, una serie di regole, di strumenti e anche di
organizzazioni che gestiscano tutto il processo che c'è dietro ogni
grande cambiamento. Certo, poi bisogna capire che forma definitiva
assumerà il pacchetto Fit for 55, perché deve ancora passare al
vaglio del Consiglio europeo e poi al voto del Parlamento europeo,
e in questo iter ci saranno sicuramente delle modifiche.
D. Quello che c'è oggi in Europa non funziona?
R. Funziona per il mondo che c'era prima, un mondo che nel tempo
avrebbe lasciato l'Europa indietro, sempre più marginalizzata a
causa di tassi di crescita di appena l'1%. La grande opportunità
che si presenta ora, invece, è di dotarci di una governance alla
pari con l'ambizione che in questo momento l'Europa si è data.
Semplificarla, migliorarla, irrobustirla, e mettere le
amministrazioni pubbliche in condizione di fare meglio il loro
mestiere.
D. A Bruxelles siete già molto ascoltati. Secondo lo studio Eu
lobbying under the spotlight, condotto dalla società di public
affairs Utopia, siete secondi solo a Google per numero di incontri
con rappresentanti Ue. Ben 32 delle 71 audizioni concesse a società
energetiche e ambientali da marzo 2020 a luglio scorso, riguardano
proprio Enel. Come mai?
R. Non c'è nessuna volontà egemonica, né tantomeno di
influenzare le politiche europee. Semplicemente, abbiamo preso atto
che in materia di energia la Commissione da molto tempo ha assunto
un ruolo di indirizzo e di definizione delle regole assolutamente
predominante. Quindi abbiamo deciso di spostare a Bruxelles molte
nostre persone dall'Italia, dalla Spagna e da altri Paesi perché
fossero presenti lì dove si prendono le decisioni più importanti, e
allo stesso tempo per rappresentare alla Commissione le esigenze di
un settore industriale che dall'esterno forse è difficile da
comprendere. Molte altre aziende hanno seguito il nostro
esempio.
D. L'Europa si sta anche mobilitando per arginare i rischi di
greenwashing, così come la Sec americana. Si teme che il caso Dws
non resterà isolato. Teme che questo possa minare la credibilità
della finanza sostenibile, che ormai è un pilastro per Enel?
R. Il rischio del discredito esiste, però l'Europa aiuta a
tutelare l'ecosistema della finanza sostenibile. La piattaforma che
vuole garantire e dirigere i finanziamenti verso il Green Deal
europeo, ne valuta ogni aspetto: si va dalla tassonomia, che
descrive le attività che possono veramente definirsi sostenibili,
alla comunicazione societaria, e vengono fissate le regole per gli
investitori e per le aziende impegnati nei finanziamenti "verdi".
Quindi è un bene che casi come quello di Dws vengano individuati e
sanzionati, perché significa che i controlli ci sono e funzionano.
Negli Stati Uniti sono un po' indietro, da pochi mesi la Sec si è
dotata di una task force proprio per vigilare sul greenwashing.
D. Intanto, nel concreto lavorate sulla decarbonizzazione. Quali
sono i progetti che metterete in campo di qui ai prossimi mesi?
R. In Italia continuiamo a spingere sui progetti che vanno nelle
aste, tant'è che molti dei 74 megawatt assegnati con i nuovi bandi
per le rinnovabili sono nostri. Siamo anche impegnati ad aumentare
la capacità di produzione della nostra fabbrica di pannelli solari
in Sicilia, passando da 200 a ben 3mila megawatt, che ne fa uno dei
più grandi investimenti in poli produttivi del settore in Europa.
Abbiamo preso questa decisione perché crediamo che lo sviluppo del
solare europeo si preannunci assolutamente straordinario. Sempre in
Italia, stiamo compiendo uno sforzo rilevante per l'adeguamento
delle infrastrutture di rete, che devono essere rinforzate, rese
più resilienti, e comunque preparate per l'impennata di
connettività ulteriore che il nuovo afflusso di rinnovabili andrà a
chiedere. Si lavora per preparare le autostrade per l'energia, che
serviranno per portarla in giro per l'Italia.
D. Ma come si spiega che dei nuovi bandi per 1.500 Mw, ne siano
stati assegnati solo 74?
R. Perché solo quei 74 MW avevano completato gli iter
autorizzativi, e questo dà una misura di quanti progetti rimangano
impigliati nelle maglie della burocrazia. Si calcola che in questo
momento in Italia ci siano progetti con sviluppo avanzato/maturo
per più di 35mila megawatt, fermi nelle varie fasi di ottenimento
dei permessi e nell'ultimo anno le richieste di connessione hanno
superato i 100mila megawatt: l'imprenditoria italiana c'è, e
dimostra spirito di iniziativa, ma poi si trova davanti troppi
ostacoli.
D. Il ministro Cingolani afferma di essere impegnato in una
battaglia quotidiana su questo fronte. Che risultati sta portando a
casa?
R. È un po' presto per dirlo, perché è un lavoro che sta andando
in profondità e agisce su una situazione che si trascina da almeno
un decennio. Penso che da tanto impegno scaturiranno risultati
positivi, però bisogna continuare a lavorare molto. Il nostro
studio sulla governance è un tentativo di dare una mano, e di
avanzare soluzioni che poi naturalmente sono proposte. Spetta al
Governo e agli enti preposti farle proprie o migliorarle.
D. Nel frattempo, il mercato dell'energia vede i prezzi, in
particolare del gas, in salita, mentre c'è una domanda crescente
perché l'economia è in ripresa. Che previsioni fa, e che impatto
stima per Enel?
R. Non è una sorpresa che i prezzi del gas siano volatili, lo
sono stati e lo saranno sempre. La volatilità danneggia l'economia
e il futuro stesso dell'Europa. Dunque, penso che la soluzione sia
prima di tutto cercare di sviluppare i mercati a lungo termine per
ammortizzare questa volatilità, sia per il gas che per l'energia
elettrica, e ridurre drasticamente la nostra dipendenza dal gas,
aumentando in proporzione la nostra penetrazione di energia
rinnovabile all'interno del sistema europeo. Ci vorrà tempo, il gas
purtroppo è una commodity che non dipende da noi governare, e dalla
quale l'Europa è ancora troppo dipendente.
D. Del vostro mix energetico, spostato sempre di più verso le
rinnovabili, il mercato guarda con attenzione anche il ritorno
degli investimenti. Com'è la profittabilità rispetto agli asset
tradizionali?
R. L'investimento in energie rinnovabili è competitivo rispetto
a quello nelle energie tradizionali, e lo è ormai da almeno 3 anni.
Lo sta diventando anche nei confronti di impianti già esistenti,
quindi ampiamente ammortizzati. La strada è irreversibile, non si
torna indietro. Aggiungo che poi la volatilità delle materie prime
petrolifere di cui parlavamo prima, sta rendendo le centrali
tradizionali sempre meno convenienti, perché è difficile prevedere
una redditività di un impianto termico in una situazione del gas
così instabile.
D. Cosa risponde a chi sostiene che le rinnovabili da sole non
possono garantire gli obiettivi della neutralità carbonica al 2050,
e che servano altre fonti, come il nucleare?
R. Nessuna fonte di energia può bastare da sola, vale per il
gas, per il nucleare, e valeva per il carbone. L'ho sempre
sostenuto. L'apporto delle rinnovabili nel mix energetico però deve
crescere, perché quando si arriverà a una percentuale superiore al
60-70%, i combustibili fossili saranno così marginali da non
provocare più impatti sui prezzi come quelli che vediamo in questi
giorni. Ben venga quindi anche il contributo del nucleare francese.
Il risultato deve essere quello di liberarsi dalle volatilità delle
materie prime, assicurare forniture di energie costanti, affidabili
e a basso prezzo. I combustibili fossili rappresentano un rischio,
per l'ambiente e per le tasche dei consumatori.
D. E sul fronte dell'idrogeno verde, questo sì ancora
economicamente non competitivo, come vi state muovendo?
R. Stiamo portando avanti i primi progetti, ma gli sviluppi
industriali richiedono tempo, intelligenza e perseveranza. I
risultati li vedremo tra almeno 3 anni. L'obiettivo è creare le
condizioni perché l'idrogeno verde diventi una realtà. Sono
fiducioso.
D. Cosa si aspetta dalla Cop26 di Glasgow?
R. Sicuramente una forte risoluzione sulla lotta ai cambiamenti
climatici, che impegni davvero i singoli Paesi a restare almeno nel
quadro degli accordi di Parigi. L'attenzione è soprattutto per il
nuovo corso degli Usa, la Cina e anche l'India, perché l'Europa ha
imboccato già questa strada. Ma vorrei che dal summit di Glasgow
emergesse finalmente anche una separazione concettuale tra quello
che va fatto nei prossimi 10 anni, cioè gli interventi che ci
consentono di decarbonizzare nell'immediato, e il dopo 2030, che
appartiene al mondo della ricerca e non è ancora realtà
industriale. Questa separazione non è stata chiara finora, e mi
auguro che la Cop26 serva anche a questo.
fch
(END) Dow Jones Newswires
September 13, 2021 02:13 ET (06:13 GMT)
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