I grandi costruttori chiedono il rinvio del piano Biden per l'auto elettrica. Stellantis, Volkswagen e Ford temono di non riuscire a eliminare i fornitori cinesi dalla filiera delle batterie in tempo per usufruire del massimo di incentivi all'acquisto di vetture alla spina. Secondo il Financial Times, avrebbero perciò domandato di rimandare l'applicazione dei requisiti di produzione negli Stati Uniti oppure di ammettere una minima quota di componenti fabbricati in Cina.

L'Inflation reduction act (Ira) varato dalla Casa Bianca prevede incentivi fino a 7.500 euro per le auto elettriche, legandone l'ammontare alla quota di produzione negli Stati Uniti o in un Paese con cui Washington ha stretto un accordo di libero scambio. Questa condizione impedirà alle auto prodotte in Europa, Corea del Sud e Giappone di ambire al massimo di incentivi, circostanza che ha già scatenato polemiche e minacce di ritorsioni da parte di Bruxelles.

Il principale obiettivo del piano Biden, scrive MF-Milano Finanza, resta però l'esclusione di Pechino dal motore elettrico delle auto americane, in modo da accelerare lo sviluppo di una filiera delle batterie domestica. A partire dal 2024, infatti, potranno accedere ai sussidi soltanto le vetture con batterie prive di componenti prodotti o assemblati in Cina, Russia, Iran o Corea del Nord. A partire dal 2025 la limitazione si estenderà anche alla presenza di materie prime estratte, lavorate o riciclate negli stessi Paesi, definiti "foreign entity of concern".

Trasferire queste disposizioni dalla carta alla catena di montaggio, secondo molti costruttori, è però un'impresa impossibile. La produzione di vetture elettriche è ancora troppo dipendente da Pechino per potersene affrancare nel giro di due o tre anni. Secondo una recente analisi di Goldman Sachs, la Cina controlla il 70% della produzione di batterie per auto. Non sarà facile scalzarla. Il Paese detiene riserve rilevanti di metalli e terre rare, direttamente o tramite partecipazioni azionarie in compagnie minerarie straniere.

Soprattutto la Cina domina i processi di lavorazione di questi materiali e la loro trasformazione in componenti di base per batterie, con quote di mercato del 77% nei catodi e dell'87% negli anodi. Di conseguenza, Ford, Volkswagen e Stellantis hanno auspicato che pochi componenti cinesi possano ancora trovare spazio nelle vetture a batteria senza perciò determinarne l'estromissione dai sussidi pubblici all'acquisto. Volkswagen si accontenterebbe di una quota inferiore al 10%, mentre Ford vorrebbe che le sussidiarie americane di aziende cinesi fossero esentate dalle limitazioni. Stellantis non ha esplicitato le sue richiesta, ma il ceo Carlos Tavares ha criticato più volte in passato l'Inflation reduction act. Le eccezioni dovrebbero, in ogni caso, avere carattere temporaneo, per dare tempo alle case di sviluppare una filiera autosufficiente negli Stati Uniti. L'impresa potrebbe però richiedere molto tempo e altrettanto denaro.

Sulla base dei progetti già annunciati, Goldman Sachs prevede che Stati Uniti e Unione europea possano raggiungere l'autonomia nella produzione di celle per batterie già fra il 2025 e il 2027. Per quanto riguarda anodi e catodi, Usa e Ue sapranno soddisfare nel 2030 soltanto fra il 20 e il 30% della domanda domestica, a meno di un incremento considerevole delle spese in conto capitale. Per localizzare il 100% della filiera elettrica in Occidente, calcola la banca americana, occorrerebbero investimenti per 160 miliardi di dollari nell'arco dei prossimi otto anni. Un impegno finanziario che, in mancanza di corposi sostegni pubblici, rischia di aumentare il prezzo delle auto elettriche negli Stati Uniti e in Europa, rallentando la transizione della mobilità o scoprendo il fianco alla concorrenza degli arrembanti costruttori cinesi.

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