(da Milano Finanza)

Dietro il raggiungimento della soglia dei 30.000 punti, mai toccata dal Ftse Mib, dopo il 2008 non ci sono motivazioni economiche e di bilancio che riguardino Piazza Affari. Anzi

Mentre il mondo è in uno dei momenti più pericolosi della sua storia moderna; mentre le guerre in essere diventano sempre più contagiose; mentre l?economia mondiale balla fra inflazione, recessione, disgregazione, che cosa succede in Italia?

L?indice di Borsa (se quella italiana può essere considerata una vera borsa) sfonda i 30 mila punti che non aveva mai raggiunto negli ultimi 15 anni.

Sorprendente, ma anche deviante. Non si è ancora usciti completamente dal Covid che ha rifatto più che capolino; i costi dell?energia sono ancora molto alti; alla guerra in Ucraina si è aggiunta quella, inqualificabile, di Gaza, che non solo ha evidenziato l?inadeguatezza a essere capo di Israele di Benjamin Netanyahu ma ha rimesso in moto altri focolai pronti a esplodere in altre parti del mondo; a circa un anno dalle elezioni americane, i due possibili candidati sono ancora l?inqualificabile Donald Trump e il vegliardissimo Joe Biden; a Bruxelles si stenta a trovare un accordo per il nuovo patto di stabilità fra il rigore spropositato della Germania, fino a sconfinare nell?irrealismo e le pretese dell?Italia che chiede un?elasticità nei conti pubblici capace di tenere in piedi un debito nazionale superiore al 150% del pil; quello che era uno dei maggiori produttori di automobili al mondo, cioè l?Italia, con 3 milioni di vetture all?anno, ne produce ora 400 mila e il bravo ministro Adolfo Urso cerca di surrogare il presidente di Stellantis, John Elkann, che è anche il singolo maggior azionista con Exor, e si sbatte con il ceo Carlos Tavares per poter portare la produzione almeno a un milione di vetture all?anno; per contro, proprio in questi giorni, dopo Essilux (Luxottica) anche Lamborghini, tutte e due aziende con i conti più che in ordine, hanno varato la settimana cortissima di 4 giorni, con contemporaneo aumento dei salari, anticipando quelli che sono e saranno sempre di più gli effetti dell?intelligenza artificiale nella produzione? Il professor Mario Rasetti, il maggior esperto italiano del settore, stima che fra 10-15 anni, per l?uso generalizzato dell?AI, la maggior parte dei cittadini lavorerà 3-4 ore al giorno.

Eppure la Borsa Italiana vola

Che la borsa italiana sia la più strutturata per anticipare proprio la rivoluzione dell?intelligenza artificiale? Che diventi per il Paese assolutamente secondaria la deindustrializzazione del settore auto? Che il debito pubblico nazionale più alto della Ue sia acqua fresca? Che il 75% del risparmio italiano vada all?estero proprio per la mancanza di un vero mercato borsistico nazionale dal quale sono fuggite le maggiori aziende (Exor compresa) per andare a godere dei vantaggi fiscali per le società e dei vantaggi di voti plurimi di chi le controlla? Dono questi tutti segnali adeguati a far salire al livello pre crisi del 2008 l?indice di piazza Affari?

Tutto nel mondo può accadere, ma quella del record dell?indice dopo 15 anni è una notizia che deve far riflettere particolarmente il governo, il parlamento e chi ha un ruolo nella finanza e nelle banche italiane. Una riflessione pesante, perché invita a pensare giustamente che la Borsa italiana non rappresenta, come dovrebbe essere, uno degli indicatori principali dello stato di salute dell?economia nazionale e di quelle strettamente connesse all?Italia, che oggi sono sostanzialmente negative.

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Un record di cui non gioire

Questo giornale non può gioire di questo record, perché è nato proprio per far crescere la cultura finanziaria e borsistica del paese, certamente la più arretrata dei principali paesi europei, con in più il paradosso, occorre ripeterlo, di essere il secondo paese al mondo per il risparmio dopo il Giappone e invece un nano nella complessiva capitalizzazione di borsa.

Con schiettezza, quindi, dobbiamo dire che se chi legifera e decide non prenderà al volo questo record per comprendere il paradosso italiano, il futuro del paese non potrà essere positivo.

È risaputo che l?Italia è il paese delle pmi, creative, coraggiose, uniche al mondo. Possibile che, per sperare che chi deve capire capisca, ci debba essere necessità di un manifesto come quello lanciato da Assonime, Equita sim, Università Bocconi? Il bravo sottosegretario Federico Freni ha subito risposto alle istanze del manifesto: "Entro la fine dell?anno il ddl capitali vedrà la luce". Peccato che quel decreto pensato per promuovere la borsa delle pmi sia stato usato alla fine come strumento per accrescere il potere di pochi boss della borsa che si ostinano a non voler accettare le regole dei mercati internazionali di successo. Sono personaggi che fanno leva sul potere che gli deriva dalla proprietà di giornali e media in grado di condizionare il potere politico partendo da Roma, scendendo a Napoli per poi risalire lungo l?Adriatico fino al cuore di regioni ricche di pmi come le Marche e il Veneto. Fino a quando chi ha quote importanti di capitalizzazione di borsa sarà in grado di influire sui politici con i propri mezzi di comunicazione, sarà difficile credere che in Italia ci possa essere una vera borsa; e meno che meno si potrà credere a una vera borsa italiana, semplicemente perché ora, contabilmente, l?indice è ricresciuto al livello di pre-crisi del 2008, con tutto quello che di negativo avviene nel mondo. Per fortuna, chi fa informazione indipendente (e in italia siamo in pochissimi) non ha dato al record di piazza Affari il peso che avrebbe potuto avere se fosse una vera borsa. Sì l?Egm ex Aim ha visto salire il numero delle pmi quotate, ma si sa quante pmi ci sono in Italia? Oltre 200 mila e di quotate se ne contano appena 210, mentre dal segmento principale di Euronext Milano ne sono uscite ben 34.

Speriamo che parlamento e governo capiscano che per creare un vero, grande mercato borsistico, che aiuti a tenere investito in italia il grande risparmio italiano, ci vuole una vera grande riforma, altro che i pannolini caldi o tiepidi del ddl capitali.

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L?Italia fuori dalla Via della Seta

C?è voluta l?onesta intellettuale del vicepresidente del consiglio e ministro degli esteri, Antonio Tajani, per sapere che già da una settimana il governo italiano ha disdetto la partecipazione del paese Italia alla Bri (Belt and road initiative), meglio conosciuta come Via della Seta. L?idea strategica di riunire in una istituzione i Paesi della vecchia Via della seta terrestre e marittima, la ebbe nel 2013 il presidente cinese Xi Jinping, per espandere il commercio (certamente quello cinese), favorendo i flussi di investimento internazionali e aumentando gli sbocchi delle produzioni non solo cinesi. Per questo fu anche costituita la Banca asiatica di investimento per le infrastrutture, con socio maggiore al 28% la Cina. Mentre l?Italia si era impegnata a sottoscrivere 2,5 miliardi di dollari dei 100 totali.

L?evocazione dell?antica via della seta riporta a Padre Ricci e a Marco Polo, per questo l?Italia fu invitata a farne parte, con firma dell?adesione da parte dell?allora primo ministro Giuseppe Conte e la visita ufficiale del presidente Sergio Mattarella a Pechino nel febbraio 2017, ricambiata dal presidente Xi a Roma e poi a Palermo il 22 marzo del 2019.

Con il progetto Bri, la Cina creava un percorso privilegiato via terra e via mare che di fatto determinava la congiunzione con l?Africa, che non è azzardato definire cinesizzata, visti tutti gli investimenti e gli accordi nella maggioranza dei paesi africani, con i quali la Cina aveva creato rapporti fin da quando quegli stati avevano governi definiti maoisti. La conquista dell?Africa da parte della Cina meriterebbe un capitolo a parte, ma ciò è avvenuto nel totale disinteresse degli Usa. Lo ha riconosciuto Barack Obama nel suo storico discorso all?Università di Stanford un anno e mezzo fa, quando ha recitato una sorta di mea culpa. Infatti, mentre appena eletto Obama si recò al Cairo facendo un discorso di altissimo livello morale e politico, poi, nei suoi otto anni di presidenza si è recato in Africa solo due volte. Non lo ha detto, ma sicuramente in quella scelta ha pesato il ritegno per essere il primo presidente afroamericano della storia. Sia come sia, la Cina domina in Africa e la Via della seta, oltre ad avere vari effetti di alleanza, aveva e ha lo scopo di creare un collegamento definito appunto con l?Africa.

Il ruolo di Washington

Naturalmente tutto ciò non ha potuto far piacere agli Stati Uniti e quindi a maggior ragione che un alleato storico degli Usa come l?Italia fosse l?unico dei paesi del G7 ad aver aderito alla Bri. Era una pillola che a Washington non andava giù. E quando si è avvicinata la data di scadenza del primo periodo d?accordo le pressioni sull?Italia perché non riconfermasse si sono fatte intense. Con l?arrivo al governo di Giorgia Meloni le pressioni hanno avuto effetto, anche perché, sia a causa del Covid e di altri fattori, l?accordo non aveva prodotto gli effetti straordinari che l?Italia si aspettava. Sì, l?interscambio è aumentato ma la crescita delle esportazioni italiane è stata nettamente inferiore a quella delle esportazioni cinesi in Italia.

E non bastasse, proprio nella settimana appena trascorsa è stata la Ue, dopo quattro anni di incontri non formali, a recarsi a Pechino con il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Sul tappeto il forte sbilancio commerciale fra Ue e Cina, cresciuto a favore di Pechino dai 154,7 miliardi di euro del 2018 a 396 del 2022 per effetto delle importazioni dalla Cina cresciute dai 342,6 miliardi di euro a 626,5.

Nei colloqui non è stata certo trascurata la posizione quasi filo Russia della Cina nei confronti della guerra all?Ucraina, ma fondamentale è il tema del riequilibrio dell?interscambio che tradotto in numeri italiani è altrettanto pesante, nonostante l?adesione alla via della Seta.

E la Germania?

Se da una parte, in un negoziato commerciale, appare inevitabile che fra chi importa enormemente di più rispetto a chi esporta, ci sia una sorta di forte insoddisfazione e quasi di irritazione, occorre domandarsi perché ciò è avvenuto e avviene. Oltre a tenere conto che se si esamina la situazione Paese per Paese della Ue, non tutti sono così squilibrati. Anzi, ce n?è uno, la Germania che, grazie ai Jumbo carichi di imprenditori organizzati dalla cancelliera Angela Merkel, ha nella Cina uno straordinario paese importatore. E la Volkswagen realizza oggi il 40% del suo fatturato in Cina. Ma soprattutto c?è da tenere presente il punto di partenza determinato nel 1972 dalla famosa apertura della diplomazia del ping pong pensata e attuata da Henry Kissinger che la consigliò al presidente Richard Nixon.

Quella svolta americana verso la Cina è valsa la possibilità per decenni di avere un paese produttore su commissione di ogni genere di prodotto a prezzi pazzescamente bassi. La Cina opificio del mondo e a costi della manodopera irrisori. Qualcuno lo potrebbe definire sfruttamento della povertà in cui si trovava il paese più popolato del mondo con oltre 1,5 miliardi di cinesi che in larghissima parte facevano la fame. Gli Usa sono arrivati a far produrre in Cina l?80% degli iPhone e dei computer Apple. Tutto a costi bassissimi. C?è stato qualche paese o governante che si lamentasse di questa straordinaria opportunità? Ma c?è anche qualcuno che non pensasse che con la loro storia millenaria, anche con un inevitabile regime comunista dopo il crollo del regime imperiale, i cinesi potessero raggiungere prima o poi (e per loro fortuna è stato prima che poi) una capacità di esportare superiore agli altri paesi, proprio anche perché capaci di produrre a più basso costo.

Dove siamo oggi

Lo stato dell?arte oggi è che la Cina anche sul piano della tecnologia supera in molti campi il mondo occidentale e soprattutto è diventata la prima paladina delle regole del Wto, fondato dal mondo occidentale.

Quindi, anche se è banale dirlo o scriverlo, dalla Cina il resto del mondo non può prescindere. Basterebbe ricordare come negli ultimi mesi è stato ripreso il dialogo degli Usa con Pechino. La svolta l?ha determinata chi, dopo la vicenda del pallone possibile spia? La responsabile dell?economia americana, ex-presidente della Fed, la banca centrale statunitense, e oggi segretaria al tesoro, Janet Yellen, che non ha esitato un attimo nei mesi scorsi ad andare a Pechino per rinforzare le relazioni commerciali. E anche il riluttante presidente Joe Biden non ha esitato a incontrare con spirito cordiale il presidente Xi Jinping a San Francisco. E nella cena che è seguita fra il presidente Xi e una foltissima rappresentanza di imprenditori americani, sono volati gli applausi. Non vi era e non vi è dubbio che nonostante le difficoltà attuali in economia, dalla Cina nessuno possa più prescindere. Per questo occorre, sia pure nel rispetto delle proprie posizioni politiche e strategiche sullo scacchiere mondiale, intensificare il reciproco sviluppo economico. È per quanto riguarda l?Italia, specialmente per il passo indietro fatto sulla Via della Seta, non vi è dubbio che vadano cercati tutti i punti possibili di collaborazione economica. Esiste un antico partenariato economico fin dall?epoca, 1978, in cui il ministro del commercio Rinaldo Ossola aprì, con grande gratitudine da parte del grandissimo Deng Xiaoping, una linea di credito stand by perché la Cina potesse comprare prodotti italiani e fu allora che io potei intervistare il grande Deng. Di quel gesto dell?Italia i cinesi non si dimenticano e non se ne devono dimenticare neppure i governanti di oggi. Era stato creato, prima ancora dell?accordo sulla Via della seta, il Business Forum Italia Cina con numerosi incontri e scambi fra imprenditori italiani e cinesi in Italia e in Cina. Il Business Forum va riattivato. E noi di Class Editori riteniamo che anche lo scambio di informazioni debba svilupparsi, per maggiore conoscenza di tutti. Per questo oltre alla consolidata partnership e scambio di contenuti con Xinhua, la principale agenzia di informazione cinese, e il relativo notiziario settimanale; oltre alle coproduzioni con China media group (che riunisce radio e televisione) in particolare per la trasmissione Cargo, recentemente abbiamo firmato un accordo di collaborazione con il gruppo Il quotidiano del popolo, che controlla il principale quotidiano economico cinese, Global Times, non solo per scambio di contenuti ma anche per dossier da pubblicare in Italia e Cina sui prodotti e settori industriali più significativi dei due paesi. Con una convinzione: che molto spesso alla base delle guerre vere ci sono guerre commerciali, mentre la collaborazione commerciale e la reciproca conoscenza sono il miglior antidoto agli scontri, alle guerre, e il miglior fertilizzante della pace. (riproduzione riservata) (Milano Finanza)

 

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December 09, 2023 01:26 ET (06:26 GMT)

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