Dall'oltre un miliardo di euro di Eni ai 39 milioni circa di Acea, passando per i 121 milioni di Enel, tutte le aziende dell'energia hanno riportano nel bilancio 2022 il pagamento del contributo straordinario sui cosiddetti extra-profitti, previsto dal decreto Taglia Prezzi, convertito in legge il 20 maggio 2022. Si tratta di un balzello pensato nel pieno della guerra in Ucraina per andare a colpire i margini tra operazioni attive e passive a fini Iva, rintracciando quelli pompati dai rincari record di gas ed elettricità.

A conti fatti, però, nelle casse dello Stato sarebbero entrati poco più di 3 miliardi di euro, ben al di sotto delle stime fatte ai tempi del Governo Draghi, che indicavano un introito più che triplo, fino a 10 miliardi di euro.

Ma non è questo l'unico nodo legato al flop del balzello. L'altro è il braccio di ferro a suon di carte bollate portato avanti da un plotone di avvocati decisi a contestare la legittimità della misura per conto di numerose aziende dell'energia. E c'è chi, come lo studio legale internazionale Cms, ha persino messo insieme una task force multidisciplinare di professionisti "per individuare e sviluppare le migliori e opportune strategie a tutela degli operatori del settore energetico chiamati ad assolvere il tributo".

Dopo aver seguito la strada del ricorso amministrativo, l'obiettivo ora è approdare alla Corte Costituzionale, ricalcando le orme del contenzioso intrapreso a carico della Robin Tax, giudicata incostituzionale nel 2015. "Cominciamo col precisare un aspetto: tutte le aziende interessate dalla misura hanno versato sia il saldo sia l'acconto", spiega Beatrice Fimiani, partner di Cms e co-ideatrice della task-force, a MF-Milano Finanza, "Quindi se i conti non tornano rispetto alle attese, c'è da considerare l'ipotesi che il gettito sia stato sopravvalutato. Dai controlli effettuati dalla Guardia di Finanza, inoltre, non sembrano emerse particolari irregolarità, nel senso che nessuna azienda ha cercato di recuperare l'esborso ai danni dei consumatori scaricandolo in bolletta». Fimiani stima che si possa arrivare alla corte Costituzionale entro fine anno, così da ottenere una sentenza nei 2-3 anni successivi. La tesi sostenuta dalle aziende che contestano la misura è che il contributo peschi nel mucchio, senza andare a colpire i soli eventuali utili eccedenti generati dalla produzione e vendita di prodotti energetici.

Nel frattempo si portano avanti i ricorsi, e non solo quelli amministrativi. Dopo la battuta d'arresto al Tar del Lazio, infatti, il Consiglio di Stato ha affermato che invece c'è sussistenza di giurisdizione del giudice amministrativo sui ricorsi presentati contro il provvedimento direttoriale dell'Agenzia delle entrate del 17 giugno 2022, che disciplina le modalità di applicazione del contributo straordinario.

"Il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del Tar e si è espresso chiaramente: non si può negare questo mezzo di tutela ai ricorrenti", sottolinea Fimiani, "occorre andare avanti anche con i contenziosi dinanzi al giudice tributario, perché nessuna strada può essere lasciata intentata e perché anche da questo iter processuale, come dimostra l'esperienza, potranno emergere i presupposti per portare il tutto alla Consulta".

Intanto, però, già si affaccia una nuova incognita con l'applicazione del contributo di solidarietà chiesto dall'Unione europea, applicando un'aliquota del 50% all'imponibile Ires per l'esercizio 2022, che ecceda un ammontare pari al 110% dell'imponibile medio registrato nei quattro anni precedenti. Molte aziende hanno già fatto accantonamenti. Ma la questione traslata sul piano legale è un'altra, come sostiene Fimiani.

"Questo onere andrà effettivamente a pesare sulla cassa 2023, in un esercizio che si presuppone tornerà su livelli più ordinari dal lato dei profitti, visto che i prezzi stanno scendendo. Per le azienda sarà un ulteriore aggravio in un anno di minori introiti.

red

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