ROMA (MF-NW)--"Se fin da bambino sognavo di occuparmi di risparmio? No guardi, io quando ero piccolo avevo due alternative che mi piacevano molto: direttore d'orchestra oppure psichiatra. Non so se occupandomi di risparmio abbia sublimato parzialmente questi due sogni». Per Pietro Giuliani, fondatore e presidente di Azimut, uno dei più affermati gruppi italiani attivi nell'industria del risparmio gestito, lavorare in questo settore non era l'aspirazione principale. Ma le cose cambiano e oggi lo si può considerare uno dei protagonisti di questo mondo, non solo a livello italiano visto che ha portato il marchio Azimut in diverse parti del mondo.

Domanda. E quindi come ha cominciato?

Risposta. "Ho cominciato perché ero un po' impaziente. Lavoravo in Iveco e secondo me facevo carriera troppo lentamente. Avevo 28 anni, ho risposto a una pioggia di annunci e mi è capitato di essere selezionato. Da quel giorno sono trascorsi quasi 40 anni da quando mi occupo di risparmio".

D. Quando lei ha cominciato il risparmio era appannaggio di poche realtà e il risparmiatore voleva soltanto titoli di Stato. Era più difficile?

R. "Mi ricordo che all'epoca un Bot rendeva dal 15 al 20% all'anno, per cui con l'equivalente di 100.000 euro di Bot si pagava l'affitto di un'abitazione da 100 metri quadri. Quando poi la forbice dei tassi si è ristretta si è passati all'affitto di un box o di un garage in una grande città. E quindi il risparmio gestito è esploso perché di fatto, oltre ai titoli di Stato c'erano solamente risparmio postale e certificati di deposito".

D. Quando l'industria del risparmio è decollata?

R. "Quando le banche hanno cominciato a realizzare una parte dei loro ricavi con le commissioni e quindi hanno cominciato d entrare nel risparmio gestito. La distribuzione, a parte quella delle reti di consulenti finanziari che non erano troppo grandi in Italia, è diventata appannaggio delle banche diciamo per il 90%. Alla fine, quando sono aumentati i tassi, i fondi obbligazionari, principalmente collocati dalle banche, hanno subito perdite in conto capitale. Le reti di consulenti finanziari che collocavano più prodotti azionari e bilanciati, hanno tenuto meglio. E così è arrivata la svolta".

D. Una maggiore indipendenza tra le sgr e le banche potrebbe aiutare? R. "Non sono mai riuscito a essere un simpatizzante per le limitazioni del mercato. Io credo che se c'è un mercato bisogna lasciarlo libero. Va regolamentato con intelligenza e con competenza, ma deve essere lasciato libero. Se c'è un buon management in una banca, che capisce l'asset management, è giusto che lo possa fare".

D. Distribuzione, commissioni e performance. Qual è la sua priorità?

R. "Nella performance sono già incluse le commissioni pagate. Quindi la performance netta è l'unica cosa che interessa al cliente. Se una società riesce a dare una performance netta superiore alle altre, indipendentemente dei costi che applica, è la società dove investire con maggior quantità i propri risparmi. Sono oltre 25 anni che Azimut mediamente ogni anno rende al cliente l'1% netto in più dell'indice del risparmio gestito italiano".

D. E con quali risultati?

R. "Abbiamo sempre cercato di tenere allineati gli interessi del cliente con quelli del consulente finanziario e gestore, che sono anche azionisti e clienti di Azimut. Da quando noi ci siamo quotati, come rendimento assoluto, cioè performance più dividendi, siamo il terzo titolo della borsa italiana. Meglio di noi Brembo e Recordati. Posso dire che, a differenza degli altri nostri competitor che si occupano di risparmio in Italia, noi abbiamo il 45% delle nostre masse raccolte da clienti fuori dall'Italia".

D. Preoccupato dalla forbice tra il gestito e l'amministrato?

R. "Io trovo giusto che uno Stato come l'Italia possa finanziare il suo debito pubblico con emissioni dedicate al retail e che il risparmiatore possa scegliere strumenti come il Btp Valore. Ritengo però che si possano scegliere insieme anche altri prodotti, tra cui gli alternativi come private equity, private debt o venture capital, che storicamente rendono tra l'8 e il 10%, quindi sopra il 5% dell'inflazione".

D. Perché alla fine il risparmio non viene indirizzato al sostegno dell'economia?

R. "Per pigrizia mentale, nel senso che chi ha risparmi accumulati preferisce delegare alla banca ogni decisione.

Potrebbe essere molto più semplice avere un professionista del risparmio, che può anche lavorare in banca ma sicuramente si trova anche nelle reti di consulenti finanziari, il quale a seconda degli obiettivi, consiglia come investire. In questo modo si può investire molto meglio, ma soprattutto correre meno rischi. Le faccio l'esempio di Crédit Suisse, una banca tra le principali al mondo. Nessuno avrebbe previsto il suo epilogo. Quello che è successo insegna che prendere e delegare completamente a qualcuno la gestione del proprio risparmio può non essere la scelta migliore".

D. L'educazione finanziaria a scuola quanto aiuta?

R. "Tantissimo e credo che l'inserimento dell'educazione finanziaria a scuola per gli studenti più giovani sia l'unico sistema per far fare il salto al Paese".

D. E più donne nel settore?

R. "Credo che la scarsa presenza sia un retaggio storico. In Irlanda i due presidenti delle nostre società sono donne con incarichi esecutivi. In Messico abbiamo un presidente e amministratore delegato che è donna. In Italia abbiamo un amministratore delegato della società di distribuzione e di gestione che è donna. È chiaro che sono di meno perché sono partite vent'anni fa, quindi poco alla volta stanno aumentando. Non credo che le quote rosa possano essere la soluzione decisiva".

D . Cosa dice un "maestro del risparmio" ai risparmiatori?

R. "Cercate di rendervi disponibili a dire i vostri obiettivi e non abbiate paura, perché due cose limitano quello che può succedere ai vostri soldi: la vostra pigrizia mentale e la paura delle perdite. Bisogna dare tempo agli investimenti e avere le persone giuste di cui fidarsi".

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