MF ANALISI: Mediobanca, il 28 ottobre la marcia sarà su Milano
23 Octobre 2023 - 9:34AM
MF Dow Jones (Italian)
Di Beniamino Piccone
ROMA (MF-NW)--Nel 1946 su ispirazione di Alberto Beneduce -
grande uomo di Stato, concreto e pragmatico - nasce Mediobanca,
«ente specializzato per i cosiddetti finanziamenti a medio termine»
controllato dall'Istituto per la Ricostruzione Industriale (Iri)
tramite le tre banche di interesse nazionale (Bin): Credito
Italiano, Banca Commerciale Italiana e Banco di Roma. La banca
d'affari viene affidata a Enrico Cuccia, già distintosi all'Iri e
assai stimato da Beneduce, che diventò oltretutto suo suocero,
visto che Cuccia ne sposò la figlia Idea Nuova Socialista. Enrico
Cuccia, fiero antifascista, era anche ben consapevole di quanto
fosse corrotto il regime fascista. Infatti nel 1936, inviato ad
Addis Abeba in Africa Orientale Italiana in veste di delegato del
sottosegretariato per gli scambi e le valute, riferì del traffico
illecito della valuta locale ad opera del maresciallo Rodolfo
Graziani, viceré d'Etiopia. Indi per cui Cuccia volle che
l'assemblea di Mediobanca si tenesse sempre il 28 ottobre, giorno
della Marcia su Roma (1922). In tal modo il banchiere siciliano
scelse che la banca avrebbe sempre lavorato nel giorno nefasto che
segnò l'inizio dell'era fascista e che il regime aveva fatto
diventare festa nazionale. La Mediobanca di Cuccia ha rappresentato
per anni la stanza di compensazione del fragile capitalismo
italiano, incapace a livello di grande impresa di trovare una
propria via di sviluppo. «Ho dovuto fare le nozze con i fichi
secchi», disse Cuccia e Napoleone Colajanni. Cuccia, «un siciliano
a Milano», «siciliano delle montagne, di sangue freddo» - come lo
definí Guido Carli -, è stato un indubbio protagonista della
finanza italiana e ha inciso profondamente sulla storia del nostro
capitalismo. Aggiungeva Ugo La Malfa, che con lui si oppose
fermamente ai luciferini propositi di Michele Sindona: «In economia
non si può fare nulla se lui non è d'accordo».
La protezione alle grandi imprese è stata fin troppo accudente.
Il risultato non è stato adeguato: la parte alta dell'impresa
italiana è scomparsa. In questo contesto l'economia italiana ha
visto la crescita del «quarto capitalismo», imprese competitive sui
mercati internazionali, capaci di combinare al meglio i fattori di
produzione per ricavare margini elevati sul fatturato. In tal modo
le esigenze di finanziamento sono limitate al capitale circolante
netto, mentre gli investimenti vengono realizzati con il capitale
proprio, indice di sostenibilità finanziaria. Lo storico Franco
Amatori concluse che Cuccia non rallentò né accelerò la china
negativa: «La accompagnò fra burberi rimproveri e un malcelato
senso di superiorità, che senza dubbio non favorì il suo ruolo di
leader del nucleo forte del capitalismo italiano».
Orbene, tutti si ricordano della massima di Cuccia per cui «le
azioni si pesano e non si contano», come se nelle assemblee degli
azionisti contasse il prestigio e il peso dei patti parasociali. A
pochi giorni dall'assemblea di Mediobanca, ora gli eredi di Cuccia,
ossia Alberto Nagel e Renato Pagliaro, sono costretti a inusuali
campagne pubblicitarie sui giornali pur di convincere gli azionisti
della bontà del loro disegno strategico futuro. Assistiamo quindi
per la prima volta a un vero e proprio scontro di due compagini: da
una parte il management di Mediobanca appoggiato del patto di
consultazione (tra gli altri Mediolanum, Gavio, Ferrero),
dall'altra Delfin - che raccoglie gli eredi di Leonardo Del Vecchio
guidati dal manager Francesco Milleri - e il romano Francesco
Gaetano Caltagirone, che l'anno scorso si mise a capo di un
progetto (non riuscito) per prendere il controllo delle Generali
sottraendolo a Mediobanca. Delfin chiede profondi cambiamenti nella
governance e un presidente di garanzia, indipendente. Anche Romano
Minozzi, imprenditore azionista con l'1%, ha fatto sentire la sua
voce di rinnovamento sostenendo che «i banchieri non devono
chiudersi in una casta» e che Delfin può portare «visione
imprenditoriale, un'aria fresca».
Insomma, una sorta di marcia su Milano nel giorno della Marcia
su Roma. Sulla carta la battaglia è aperta: i due fronti raccolgono
circa il 30% dei voti ciascuno. L'affluenza sarà alta, nell'intorno
del 75%. Saranno decisivi gli investitori istituzionali che faranno
valere i propri voti. Se la lista di Delfin - appoggiata anche da
Caltagirone e Minozzi - dovesse ottenere la maggioranza dei voti in
assemblea, il nuovo consiglio di Mediobanca - 8 consiglieri alla
lista del cda, 5 alla lista Delfin, 2 agli investitori
istituzionali - rischierebbe lo stallo su alcune delibere a
maggioranza qualificata mettendo in allerta la Vigilanza della
Banca Centrale Europea.
È chiaro che Delfin e Caltagirone mirano a condizionare la
gestione di Mediobanca, che oggi vive dell'attività di m&a, di
gestione del risparmio con Che Banca! e di credito al consumo con
Compass. Il vero obiettivo è però il controllo delle Generali - la
più grande compagnia di assicurazioni italiana, fondata il 26
dicembre del 1831 - oggi controllate dalla banca con solo il 13,1%
di azioni. Un controllo così risicato implica l'impossibilità di
aumentare il capitale sociale, pena la perdita del premio di
maggioranza. Ma in tal modo al Leone di Trieste è impedita la
crescita per via esterna, necessaria per stare al passo con i
competitor Allianz e Axa.
Tra le delibere da approvare all'assemblea del 28 vi è quella
relativa alla politica di remunerazione. Cuccia, onesto e probo,
era l'emblema della sobrietà dei comportamenti. Riservatezza
massima e studio: questi erano i suoi valori. In un'unica cosa
largheggiava: nell'acquisto di libri, di cui era vorace lettore.
Tra le altre cose Cuccia si batté affinché le stock option -
strumento talvolta diabolico per arricchire i manager - non
trovassero terreno fertile. Mentre oggi i banchieri vengono
foraggiati con stipendi eccessivi, Cuccia morì lasciando agli eredi
sul conto corrente 300 milioni di lire, al conio di oggi circa
155.000 euro, lo stipendio di trenta giorni dell'amministratore
delegato attuale di Mediobanca, che con i bonus ha raggiunto in 12
mesi un emolumento lordo di 5,8 milioni.
red
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